venerdì 29 maggio 2009

Considerazioni che si muovono


tra Internet, il fenomeno Facebook e i rischi della rete.

È giusto fare una premessa: il fenomeno Internet e i suoi rischi sono stati analizzati e studiati in tante sedi e in vari modi.
Questo vuole essere un punto di vista diverso, cioè quello di un utente che non solo ha utilizzato internet fin dai suoi primi passi, ma che ha anche adoperato i suoi strumenti sociali molto attentamente.
Devo dirlo subito, Internet in sé non e' pericoloso più di quanto non lo sia la televisione. La costante immersione sociale in cui siamo bombardati di messaggi subliminali e iniezioni di sesso e violenza, non sono maggiori in Internet, da un punto di vista di utente medio, ma diventano pesanti, e spesso fuori limite, quando l'utente inizia a “cercare”. Si sa che e' insito nella maggior parte di noi un che di morboso che ci porta a guardare ad esempio incidenti stradali con occhi avidi, e è quindi facile cadere nella tentazione e cercare.
Internet oggi e' una porta verso il mondo sempre aperta e sempre aggiornata in cui si trova ogni sorta di informazioni e divertimento. Il fenomeno negli ultimi anni e' diventato sempre più globale, coinvolgendo utenti di ogni età e etnia.
Grosso modo 8 anni fa iniziavano a svilupparsi le prime chatroom di massa, e con esse strumenti di collegamento che permettevano all'utente di essere sempre connesso con i suoi contatti. Fin dai suoi albori commerciali internet ha rappresentato molteplici insidie: dopotutto la censura di un “mondo” così vasto e' utopistica e filtrare i contenuti non è sempre possibile.
Tristi realtà come la pedofilia, le truffe organizzate, il furto e, addirittura, gli scambi di informazioni tra criminali, sono sempre esistite dietro ai luccicanti ammiccamenti virtuali ed è facile inciamparci, specialmente per quegli “utenti deboli” che si avvicinano a internet senza cognizioni precise.
Le chatroom sono sempre finite sul banco degli imputati in quanto purtroppo spesso luogo di adescamento di minori e, in generale, luogo di raggiro di persone.
La realtà e' semplice: lo schermo nasconde le identità, e per chiunque e' facile fingersi chi vuole.
C'e' chi usa questo vantaggio in modo ingenuo per descrivere un altro se stesso magari migliore, ma c'e' chi invece usa questo vantaggio per raggirare qualcun altro, e purtroppo e' relativamente facile per un uomo maturo spacciarsi per un bambino o compagno di giochi e convincere un minore a incontrarlo.
E' una realtà triste che però, vista anche la totale mancanza di limiti di età, si verifica spesso, specialmente in quei posti dove l' informazione sociale e' minore.
In Italia e in generale nei paesi più sviluppati, fortuna o disgrazia che sia, gli utenti fin da piccoli passano molte ore online e sono spesso avvisati e smaliziati a questi tristi incontri, quindi i rischi dovrebbero essere più ridotti seppur di certo non debellati..
Qualche anno fa in America e' nato un sito chiamato Grade, che permetteva, attraverso una ricerca di nome e anno scolastico, di rintracciare vecchi compagni di classe. Un idea suggestiva che ha permesso di riunire persone e rapporti persi da tempo. È qui che entra in scena il fenomeno attuale, salito agli onori col nome di Facebook, un sito in cui previa registrazione del proprio nome e' possibile tenersi in contatto con gli amici e i conoscenti, o anche, in alcuni casi, con i propri artisti, sportivi e personaggi in generale preferiti.
Un mondo luccicante, che come altri servizi che hanno assunto il nome di “social network”, permette di tenere un proprio diario virtuale con tanto di foto giochi e applicazioni. Tutto oro quello che luccica?
Diciamo che Facebook e' molto meno invasivo di altre applicazioni: l'utente decide chi visionare e aggiungere, e la sicurezza del nome reale spesso e' garantita. Tuttavia esiste anche qui un fenomeno che sta' letteralmente invadendo la piazza globale, quello cioè del furto d'identità: persone che si spacciano per altri, magari personaggi famosi attori o altro; e se per un personaggio pubblico questa realtà non esiste solo da adesso, per persone “comuni” è una questione più complicata, in quanto sono centinaia i casi di utenti diffamati e disagiati da questa situazione. C'e' chi ha perso il lavoro, chi delle relazioni importanti e molto altro.
C'e' un caso, certo un estremo, ma vorrei citarlo perché è un fatto di cronaca tristemente reale e non certo virtuale. Un londinese di 34 anni e' stato condannato all' ergastolo dopo la violenta uccisione della moglie Emma, la moglie, era rea agli occhi del marito, di aver cambiato il suo status in Facebook, dopo la recente separazione, passando quindi da “sposata” a “single”. È certo un caso estremo ma a mio parere ben rende quella che e' purtroppo da anni una realtà concreta e pericolosa perchè Facebook, e i suoi simili, sono programmi di facile comprensione e che vengono usati spesso per svariate ore quotidiane. In un mondo in cui la realtà è molte volte destabilizzante, internet permette di vedere altri punti di vista e di vivere vite “parallele”: in un caos così totale è fin troppo facile, per tutti, cadere nella trappola della rete.
La domanda che sorge spontanea è: ma se Internet è così pericoloso e deviante perché non porre dei limiti al suo accesso? Diciamo subito che i limiti e i controlli ci sono, e ricordiamo anche che spetta sempre al buonsenso dell' utente e alla sua informazione trarre il meglio dalla rete.
Ho premesso che di Internet sono stato, e sono ancora, un utente attivo, e la mia esperienza personale fa segnare molti punti a favore della rete in quanto attraverso questa ho avuto modo di ''incontrare'' persone che poi, conoscendo dal vivo, ho ritenuto meravigliose; ho la possibilità di far sentire la mia voce a chiunque voglia sentirla, di essere sempre informato su ciò che suscita il mio interesse e, usando alcuni strumenti tra i quali Facebook, con le giuste attenzioni posso godere di servizi stimolanti e divertenti.
In conclusione, come per quasi ogni aspetto della vita reale, anche Internet prevede sempre due facce della medaglia, solo che mentre la prima e' sempre sbandierata e visibile con facilità, la seconda spesso e' mascherata e agisce nell' ombra.
Io credo che questo fenomeno, che già adesso è una realtà su vastissima scala, andrà sempre maggiorando e conglobando il maggior numero di utenti e attrattive, è bene perciò continuare a tenere gli occhi aperti e cercare di informarsi sempre sulla sicurezza o meno di ogni nostra operazione, perché è facile innamorarsi di un bel fuoco d'artificio, ma anche se nessuno lo sospetta, e raramente se ne accorge, è anche facile bruciarsi con la polvere da sparo che lo alimenta.

Enrico Alibani
Voglio provare una cosa.
Voglio provare a collaborare e a dare spazio su questo mio blog a altri amici blogger. Una sorta di "Huffington Post in piccolo", nel senso che anche la Hufftington ha dei blogger che scrivono per lei e che la aiutano a tenere sempre aggiornato il blog.
Oltre a dare spazio alle mie idee voglio provare anche a essere "contenitore" di pensieri altrui. E ho già trovato il primo degno compagno.

mercoledì 20 maggio 2009

L'Europa tra copyright e copyleft

di Enrico Santarelli e Giovanni Bono 15.03.2005

articolo tratto dal sito: http://www.lavoce.info


La Commissione Europea e i ministri europei reponsabili della Competitività hanno varato una controversa direttiva sulla brevettabilità di "computer-implemented inventions". Lungi da poter essere considerato concluso, il dibattito dovrebbe ora investire l'intero sistema di tutela della proprietà intellettuale. Se si vuole incoraggiare l'attività innovativa e favorire la circolazione dei suoi risultati, le strategie copyleft sembrano le più adatte a promuovere la ricerca di base. E potrebbero innescare meccanismi per il recupero di competitività e di rilancio verso l'economia basata sulla conoscenza, perno della strategia di Lisbona.
In passato, i programmi per elaboratori elettronici ("software") erano soggetti alla disciplina sul diritto d'autore: le idee contenute nel programma non potevano essere brevettate. Sulla scorta dell'idea che il software contiene invenzioni come ogni altra realizzazione tecnologica, gli Stati Uniti (USA) hanno da tempo rotto con questa tradizione ed il software - come gli algoritmi matematici, i "business methods", etc. – è entrato a pieno titolo fra le materie di brevetto. Nello stesso tempo, il "copyright" sul software è stato messo in crisi da una comunità transnazionale di sviluppatori, detta del "software libero" o "movimento open source". Questa comunità è cresciuta grazie all'uso di licenze cosiddette "copyleft", che mettono in comune i risultati invece di negoziarne la circolazione sul mercato. Tale pratica, che ha prodotto esperienze di successo nel settore del software - come GNU, Linux e Apache - e ha contagiato giganti come Netscape, IBM e Sun Microsystem si sta estendendo anche ad altri settori, dalla musica alle biotecnologie.Commissione europea ed Europarlamento hanno dibattuto a lungo attorno alla possibilità di brevettare software. La querelle si è aperta con un Green Paper presentato dalla Commissione nel 1997. Il 24 settembre 2003, l’Europarlamento ha approvato un testo fortemente limitativo, la direttiva dell'Unione Europea sulla brevettabilità di "computer-implemented inventions". A sua volta, la Commissione ha presentato, il 18 maggio 2004, un testo modificato nella direzione opposta. Quest’ultimo, tuttavia, non ha raccolto sufficienti consensi, tanto che il 2 febbraio 2005 l'Europarlamento ha chiesto l'azzeramento dell'intera procedura, invitando la Commissione a soprassedere rispetto alla decisione in tema di brevettabilità del software. Infine, tra il 3 e il 7 marzo 2005, prima la Commissione poi i ministri europei responsabili della Competitività, hanno respinto questo invito e, malgrado l’opposizione più o meno ferma di alcuni paesi membri (la Spagna in testa, ma anche Cipro, Danimarca Lettonia, Paesi Bassi, Polonia, Ungheria) e l’astensione di altri (Austria, Belgio e Italia), manifestato una preferenza per l’orientamento copyright. In attesa di un nuovo pronunciamento dell’Europarlamento, è nostra opinione che la politica comunitaria per l'innovazione dovrebbe invece operare una scelta di campo diversa e decidere di sfruttare a fondo le opportunità di crescita generate dal copyleft.
Fautori e oppositori della brevettabilità
I fautori ritengono la brevettabilità del software un incentivo necessario all'attività innovativa: ne garantirebbe il futuro in Europa proteggendo le invenzioni sia delle piccole che delle grandi imprese. Gli oppositori osservano che, mentre negli altri campi la concessione del brevetto è subordinata alla divulgazione dell’informazione tecnologica su cui esso si basa, nel caso del software tale protezione è accordata anche se il codice sorgente rimane segreto. Di conseguenza, l'estensione del meccanismo brevettuale frenerebbe l'innovazione, mettendo l'industria europea del software saldamente in mano a un cartello di grandi imprese in grado di eliminare i concorrenti più piccoli grazie al pieno controllo che esercitano sui codici sorgente del software più diffuso. In effetti, il dibattito è stato talvolta letto come uno scontro tra gli interessi delle grandi e delle piccole imprese del settore. La prassi ha tuttavia da tempo scavalcato i vincoli normativi, posti ad esempio dall’articolo 52 della European Patent Convention, e di fatto sono stati concessi numerosissimi brevetti sul software. Il problema, però, è di portata maggiore. Il punto di fondo è infatti se l'Unione europea debba seguire gli Stati Uniti sulla strada di una politica intransigente di tutela della proprietà intellettuale o se vi sia la possibilità di imboccare percorsi diversi. Si tratta, in altre parole, di scegliere con chiarezza il sistema prevalente di accesso alle conoscenze codificate, che rappresentano sia il principale input che il principale output di ogni attività innovativa.
Copyright e copyleft
La regolamentazione privata dell'accesso alle conoscenze codificate prende forme diverse in settori e sistemi giuridici diversi. Questa varietà di forme, pratiche e strategie negoziali può essere ricondotta a due tipologie generali: "copyright" e "copyleft". La strategia copyright, che include i brevetti, è tipicamente "chiusa" e comporta un'attribuzione selettiva dei diritti di accesso. La strategia copyleft, adottata dalla comunità degli sviluppatori di software libero, è invece "aperta" e attribuisce i diritti di accesso non selettivamente. Nel primo caso, la conoscenza generata dall'attività innovativa è una collezione di beni privati, accessibili soltanto a seguito di una negoziazione privata. Nel secondo, è un "commons", cioè una risorsa di proprietà comune la cui riproduzione, circolazione e modifica sono limitate in modo tale da garantire la loro permanenza nel "commons". Gli esempi di "commons" nella moderna società dell’informazione sono molteplici. Basti pensare, ad esempio, che gli standard tecnologici del world wide web sono in larga parte un "commons" e che l'istituzione che orienta la loro produzione - iniziata al Cern di Ginevra nel 1989 - è una joint venture franco-nippo-statunitense, il World Wide Web Consortium (w3c). E recenti esempi di successo di software copyleft come quelli del sistema operativo Linux e del server http (hyper text transfer protocol) Apache dovrebbero attenuare la diffidenza attorno a questa modalità di accesso alle conoscenze codificate. Tra l’altro, il ciclo di vita del software tende a diventare sempre più breve. Tutelarlo con una strategia copyright rigida e protratta nel tempo non sembra avere molto senso, anche in considerazione del fatto che la profittabilità di un prodotto software è di regola alta subito dopo la sua immissione sul mercato, ma rapidamente decrescente nel periodo successivo (Forrest, 2003).
Imparare dagli Usa?
L'esperienza Usa non sembra d'altra parte un modello da imitare. In un recente libro, due tra i massimi studiosi statunitensi di economia dell'innovazione, Adam Jaffe e Josh Lerner, sostengono che il sistema americano di tutela della proprietà intellettuale tramite i brevetti è andato in crisi proprio a partire dalla prima metà degli anni Ottanta. Le cause sono l'introduzione di una Corte d'Appello centralizzata (Cafc) che ha unificato e potenziato il trattamento giudiziario dei diritti brevettuali, e la trasformazione dell'ufficio brevettuale (Uspto) in agenzia di servizi i cui costi di mantenimento sono pagati attraverso le fees dei "clienti" (i patent applicants, coloro che presentano domanda di concessione di brevetto), anziché dal governo federale. L'orientamento pregiudizialmente favorevole della Cafc nei confronti dei titolari di brevetto ("patent holders") e la trasformazione dello Uspto in una struttura di servizio dei "patent applicants", ha determinato una autentica esplosione dell'attività brevettale, cresciuta tra il 1982 e il 2002 al ritmo medio del 5,7 per cento l’anno, contro l’1 per cento medio annuo del periodo 1930-1982. Accompagnata, però, da una crescita esponenziale nel numero dei contenziosi giudiziari, da una sostanziale perdita di rigore nelle procedure di valutazione delle domande e di attribuzione dei brevetti da parte dello Uspto, nonché da un aumento dei costi di transazione per l'acquisto e la cessione di licenze sui brevetti. Oltre tutto, la proliferazione di brevetti di scarsa o nessuna rilevanza tecnologica e i costi sempre più elevati di difesa dei brevetti in sede giudiziale, non hanno portato all'incremento sperato nella realizzazione di innovazioni di prodotto.
Cosa fare in Europa
Naturalmente, occorre valutare con estrema cautela se una politica tradizionale - di impostazione copyright - sia preferibile all'esplorazione di politiche nuove - di ispirazione copyleft. Oltre a suggerire un ripensamento della normativa sulla brevettabilità del software, il dibattito europeo dovrebbe investire l’intero sistema di tutela della proprietà intellettuale. Gli strumenti per la "tutela della proprietà intellettuale" e quelli per la formazione di "commons" di conoscenza servono lo stesso duplice scopo: incentivare l'attività innovativa e favorire la circolazione dei suoi risultati. L'esperienza delle economie industriali induce a considerare i primi come i più adatti a promuovere gli investimenti privati in ricerca & sviluppo, perché consentono una esplorazione sistematica e ordinata delle prospettive aperte da una invenzione primaria. I secondi sembrano invece i più adatti a favorire la ricerca di base, svolta o finanziata da fondazioni ed enti pubblici, le università in testa.Se l’Europa riuscisse a coniugare il regime di tutela e riconoscimento dell'innovazione nel suo complesso con politiche ispirate a esperienze copyleft, potrebbe gettare le basi per lo sviluppo di un meccanismo incentivante originale e capace di indurre individui e imprese a scegliere strategie di innovazione aperte. Sarebbe uno strumento di recupero di competitività e di rilancio nel cammino verso un'economia basata sulla conoscenza, l’obiettivo prioritario individuato dal Consiglio europeo di Lisbona nel marzo 2000.

Privacy e Giornalismo

Il rapporto fra diritto di cronaca e privacy è molto complesso ed è regolato da una serie di norme che, con il passare degli anni, stanno tentando di stabilire un corretto compromesso fra i diversi interessi messi in campo.
Ci sono norme, volte a proteggere la privacy dei cittadini, alle quali i giornalisti devono attenersi durante l'adempimento del proprio lavoro:
L'8 luglio del 1993 è stata approvata, da parte del Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti e dalla Federazione nazionale della Stampa, la Carta dei doveri dei giornalisti italiani. Il documento è significativo in quanto si propone di tutelare la libertà di informazione intesa anche come diritto passivo della collettività. La carta è suddivisa in quattro punti fondamentali: i diritti della persona, il dovere di rettifica, la presunzione di innocenza e le incompatibilità professionali. La parte concernente i diritti della persona, oltre a vietare qualsiasi tipo di discriminazione per razza, religione, sesso ecc., afferma che non si possono pubblicare notizie sulla vita privata delle persone. In questa sezione vengono poi ripresi i contenuti della Carta di Treviso per quanto riguarda la tutela dei minori e dei soggetti deboli. In particolare si sottolinea l'obbligo di tutelare l'anonimato del minore e l'impegno ad evitare la presenza di minori in trasmissioni televisive che possano ledere la sua personalità. Viene poi stabilito il divieto di rendere identificabili tre tipologie di soggetti:
le vittime di violenze sessuali,
i membri delle forze di pubblica sicurezza e dell'autorità giudiziaria,
i congiunti di persone coinvolte in fatti di cronaca.
La Carta introduce inoltre un Comitato nazionale per la correttezza e la lealtà dell'informazione, organismo che ha la funzione di raccogliere e valutare le segnalazioni dei cittadini che ritengono di essere stati offesi da un articolo di giornale.

La legge del 31 dicembre 1996, n. 675 garantisce che il trattamento dei dati personali si svolga nel rispetto dei diritti, delle libertà fondamentali e della dignità delle persone fisiche. L'articolo 25 si intitola Trattamento di dati particolari nell'esercizio della professione giornalistica, e vieta di trattare senza consenso dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale dei cittadini, e affida al Garante il compito di promuovere l'adozione, da parte del Consiglio nazionale dell'Ordine, di un codice deontologico relativo al trattamento dei dati personali.

Il Codice di deontologia relativo al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica è stato consegnato al Garante nella sua versione definitiva il 29 luglio 1998, ai sensi dell'art. 25 della l. 675/96. Il punto chiave del codice è la distinzione fra la sfera privata e interesse pubblico. È composto da 13 articoli, nei quali si inserisce la tutela di alcuni diritti personali come il diritto alla riservatezza sulle origini etniche, il pensiero politico, le abitudini sessuali, le convinzioni religiose, le condizioni di salute delle persone, il diritto alla dignità degli imputati nei processi e dei malati.
Molto importante è l'art. 6 del Codice, che parla di essenzialità dell'informazione e chiarisce che una notizia può essere divulgata, anche in maniera dettagliata, se è indispensabile in ragione dell'originalità del fatto, della relativa descrizione dei modi particolari in cui è avvenuto, nonché della qualificazione dei protagonisti.Anche nel codice, all'art. 7, viene ripresa la necessità, espressa nella Carta di Treviso, di una tutela rafforzata dei minori. Nel caso di minori scomparsi o rapiti, in particolare, è necessario il consenso dei genitori.L'art. 8 stabilisce invece, sempre nella sfera del rispetto per la dignità delle persone, il divieto di pubblicazione di immagini impressionanti.

Il Codice di protezione dei dati personali, in vigore dal 1º gennaio 2004, dedica il titolo XII, Giornalismo ed espressione letteraria ed artistica alla disciplina del rapporto fra diritto di cronaca e diritto alla privacy.
Il Codice suddivide i dati personali in quattro categorie:

dati sensibili: quelli idonei a rivelare "l'origine razziale o etnica, le convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche, l'adesione a partiti, sindacati, associazioni od organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale" di una persona.
dati semisensibili: sono informazioni i cui trattamenti possono causare danni all'interessato, sono dati di sospettati di frode o dati relativi a situazioni finanziarie
dati comuni: sono tutte quelle informazioni, come nome, cognome, partita I.V.A., codice fiscale, indirizzo, numeri di telefono, numero patente, che consentono di individuare una persona fisica o giuridica, sia essa anche un ente od associazione.
dati giudiziari: sono quelle informazioni idonee a rivelare provvedimenti in materia di casellario giudiziale, anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reati o carichi pendenti.
Nel caso dei dati sensibili, si prescinde dal consenso dell'interessato, tuttavia il giornalista deve rispettare il già citato limite dell'essenzialità dell'informazione, oltre a quello della rilevanza del dato per il caso trattato nell'articolo.Il riferimento a un codice deontologico è stato inserito nell'art. 139.

Privacy

La privacy è il diritto alla riservatezza delle informazioni personali e della propria vita privata.
Louis Brandeis fu probabilmente il primo al mondo a formulare una legge sulla riservatezza. fu ispirato dalla lettura dell'opera di Ralph Waldo Emerson, il grande filosofo americano, che proponeva la solitudine come criterio e fonte di libertà.
Il termine privacy, concetto inizialmente riferito alla sfera della vita privata, negli ultimi decenni ha subito un'evoluzione estensiva, arrivando a indicare il diritto al controllo sui propri dati personali.
La recente diffusione delle nuove tecnologie ha contribuito ad un assottigliamento della barriera della privacy, e oggi la privacy si pone quale indiscutibile strumento di salvaguardia della libera e piena autodeterminazione dell'individuo.
Privacy non è soltanto il sacrosanto diritto a che nessuno invada il mondo personale dell’individuo precostituito è anche il diritto a che ciascuno possa liberamente esprimere le proprie aspirazioni più profonde e realizzarle, attingendo liberamente e pienamente ad ogni propria potenzialità.



Di crescente rilievo è il tema della sicurezza informatica: esso coinvolge tutti gli aspetti che riguardano la protezione dei dati sensibili archiviati digitalmente ma in particolare è noto al grande pubblico con riferimento all'utilizzo di Internet.
In effetti, la rete è in grado di offrire una vasta gamma di informazioni e servizi ma contemporaneamente può costituire un luogo pericoloso per la nostra privacy anche perché il mezzo stesso non è stato concepito per scambiare o gestire dati sensibili.
Una delle piaghe più dannose della rete è lo spyware. Esiste perfino un metodo, chiamato social engineering, tramite cui i truffatori riescono a ottenere informazioni personali sulle vittime attraverso le più disparate tecniche psicologiche: si tratta di una sorta di manipolazione che porta gli utenti a rilasciare spontaneamente i propri dati confidenziali.
La miglior difesa per la nostra privacy, in questa situazione di precarietà, consiste nell’utilizzare il buon senso e nell’adottare semplici accorgimenti tra cui utilizzare password non banali, con codici alfanumerici e evitare il più possibile di comunicare la propria password. Oppure installare e configurare bene firewall e antivirus tenendoli in seguito costantemente aggiornati e procurarsi un antispyware in grado di ripulire efficacemente il sistema. E ancora, non aprire allegati di e-mail provenienti da utenti sconosciuti o sospetti, leggere attentamente le licenze e le disposizioni riguardo alla privacy prima di installare un qualsiasi software.
Esistono inoltre soluzioni meno immediate ma più efficaci come l’utilizzo della crittografia, che ci permette di criptare un messaggio privato attraverso particolare software facendo sì che solo l’utente destinatario possa leggerlo in chiaro, unito all’implementazione della firma digitale.



Con l’avvento di Internet si è presto percepita l’esigenza di ampliare il vecchio ordinamento giuridico e, di conseguenza, anche la normativa relativa al concetto di privacy.
Tra i reati penalmente punibili, in termini di
Internet e privacy: violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza informatica; la rivelazione del contenuto di corrispondenza telematica; intercettazione di comunicazioni informatiche o telematiche; installazioni abusive di apparecchiature per le intercettazioni informatiche; falsificazione, alterazione e sottrazione di comunicazioni informatiche; rilevazione del contenuto di documenti informatici segreti; accesso non autorizzato ad un sito; spionaggio informatico.

Basilare è la promulgazione della legge 547/1993 che introduce, tra gli altri, l’importantissimo concetto di frode informatica definita dall’art. 10 all’art. 640ter c.p. secondo cui:
“chiunque, alterando in qualsiasi modo il funzionamento di un sistema informatico o telematico o intervenendo senza diritto con qualsiasi modalità su dati, informazioni o programmi contenuti in un sistema informatico o telematico o ad esso pertinenti, procura a se o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 516 a euro 1032. La pena è della reclusione da uno a cinque anni e della multa da euro 309 a euro 1549 se ricorre una delle circostanze previste dal n.1 del secondo comma dell’art. 640 ovvero se il fatto è commesso con abuso della qualità di operatore del sistema. […]”.
Rilevante è anche la legge 675/1996 che, sebbene non si occupi in modo specifico del contesto informatico, ricopre un ruolo fondamentale per ciò che concerne il trattamento e la protezione dei dati personali.
Dal 1° gennaio 2004 è inoltre in vigore il decreto legislativo n. 196 che ha puntato l’attenzione su tematiche importanti come le modalità con cui devono essere trattati i dati confidenziali nell’ambito dei servizi di comunicazione elettronica accessibili al pubblico e l’obbligo, da parte dei fornitori, di rendere l’utente più consapevole su come le loro informazioni riservate verranno trattate e utilizzate.

Le direttive 95/46CE e 97/66/CE si applicano sul trattamento dei dati su internet, infatti quando si accede ad Internet, vengono registrati dai providers in un file, la data l'ora, l'inizio e la fine del collegamento, oltre che l'indirizzo IP dell'utente . C'è da fare una distinzione, la direttiva 95/46/CE si applica a qualsiasi trattamento di dati personali indipendentemente dal mezzo tecnico adoperato, mentre la direttiva 97/66/CE, si applica al trattamento dei dati personali in relazione alla fornitura di servizi di telecomunicazione accessibili al pubblico, tra cui rientrano anche i servizi Internet. Secondo la 95/46 CE il trattamento dei dati è legittimo se è consentito dall'individuo e ne deve essere a conoscenza. Per quanto riguarda l'utilizzo dei dati personali l'art. 6 § 1, lett. e) della direttiva 95/46/CE dispone l'obbligo di non tenere i dati personali per un tempo maggiore di quello necessario per la finalità per i quali sono stati presi. L'articolo 6 della direttiva 97/66/CE: “impone che i dati sul traffico debbano essere cancellati o resi anonimi quando non sono più necessari ai fini della trasmissione di una comunicazione” . L'art. 12 della direttiva impone che i dati vengano comunicati all'individuo.

In internet, per colpa anche della sua stessa natura, soggetta a continui cambiamenti, la tutela penale per la riservatezza delle comunicazioni in rete, così come l’intero corpus legislativo ad essa affine, si arricchisce ogni giorno di nuovi decreti. È un panorama molto complesso. Si pensi poi all’intricato sovrapporsi di norme italiane, europee e internazionali oltre che allo spesso labile confine tra illegalità e legalità che caratterizza un contesto ambiguo come quello del web.
E’ quindi facile dedurre che il processo di regolamentazione della rete è appena agli inizi e non è escluso che non possa mai giungere a una concreta efficienza data l’impossibilità di monitorare e tenere sotto controllo un mezzo così vasto e a tratti inscrutabile.

venerdì 15 maggio 2009

La Fiera del Libro di Torino, tra Egitto e Giovani.

Si svolge in questi giorni a Torino, con un vasto programma e numerosi ospiti, la Fiera del Libro che può essere considerata uno dei principali appuntamenti culturali che si svolgono annualmente in Europa.
Questa manifestazione è un prezioso evento per chi vi partecipa e per la Nazione stessa in quanto racchiude in se conoscenza, confronto, dibattito, nonché un rapporto diretto con grandi protagonisti della nostra cultura.
Il fatto che il successo di questa manifestazione nel corso degli anni è aumentato, soprattutto fra i giovani, fa piacevolmente notare la domanda crescente di cultura del pubblico italiano. I giovani appunto devono essere i primi destinatari di ogni progetto di educazione alla lettura. Gianfranco Fini,presidente della Camera dei Deputati, nel discorso di apertura a questa Fiera, ha sottolineato che, accrescere nei ragazzi la passione per il libro equivale a investire sul futuro del nostro paese, “il libro è crescita umana oltre che crescita culturale”.

L’ospite d’onore di questa edizione della Fiera del Libro è l’Egitto, paese strategico per il processo di pace in Medio Oriente e paese impegnato nel garantire il dialogo inter-palestinese. Il ruolo centrale dell’Egitto in questa manifestazione deve servire a vedere la cultura, e in questo caso il libro, sotto un’ottica diversa. La letteratura deve portarci a abbattere le barriere tra paesi, perché può donarci una cosa molto preziosa, la conoscenza, e solo la conoscenza può rendere fratelli gli uomini.
La diffusione della cultura credo sia un forte fattore di speranza, e il primo gradino per soddisfare il desiderio di vivere veramente in un “mondo nuovo”.

In tutto questo parlare di libri, una domanda mi sorge spontanea: l’editoria libraria è in crisi?
Per il 2008 si è evidenziato solo un lieve calo. Mentre il segnale è molto più positivo sul fronte della lettura di libri: nel 2008 sono cresciuti i lettori in Italia e raggiungono il 44%, in base ai dati Istat.
Inoltre è interessate sottolineare che se il mercato “adulti” tra 2007-2008 è rimasto sostanzialmente stabile, il mercato bambini e ragazzi è cresciuto del 10%.
Questo conferma che i libri, Internet e le tecnologie si integrano perfettamente nella quotidianità dei ragazzi.

Tornando all’evento che si sta svolgendo a Torino in questi giorni, proprio in base a questi dati la Fiera terrà a battesimo www.editorixragazzi.it, il sito ufficiale degli editori per ragazzi realizzato dall’Associazione Italiana Editori (AIE). Un ampio catalogo di titoli per ragazzi interrogabile con diverse chiavi di accesso.

lunedì 11 maggio 2009

L’importanza della parola online.


I giornali online hanno quasi tutti la stessa struttura. Troviamo cioè in prima pagina tutto ciò di cui abbiamo bisogno per l’informazione (rubriche, pubblicità, informazioni …) e, per quanto riguarda la costruzione della pagina stessa, presentano molto spazio e molto colore.
Il colore è ciò che manca ai giornali tradizionali. Certo, su un giornale posso mettere una foto, ma non posso offrire l’aspetto dinamico che può avere un’immagine. In pratica, una galleria fotografica non può essere realizzata sulla carta perché toglierebbe spazio alle parole. Per quanto riguarda il web invece, la galleria fotografica diventa un elemento di fortissimo impatto e rappresenta proprio una chiave di lettura, perché le immagini in sequenza sono molto apprezzate dagli utenti del web, anche più dei video che, ad esempio, necessitano tempi diversi di caricamento.
Le gallerie sono un grande vantaggio per l’online ma sono anche un grande limite. La delega all’immagine dà al giornalista una sorta di alibi e porta a giustificare il non perdersi troppo sul testo. Perché sprecarsi a scrivere qualcosa di incisivo quando a fare notizia basta l’immagine stessa?
Questo, in Italia, è un problema: non si scrivono testi per il web. Non esiste un giornalismo online vero e proprio perché non c’è richiesta di un giornalismo online.
Proviamo a pensare numericamente: su cento giornalisti delle redazioni cartacee, otto sono i giornalisti delle redazioni online. È facile quindi dedurre che scrivere sul web non è come scrivere sulla carta.
Grande novità dei giornali online sono i commenti, e quindi questo potenziale aspetto di comunicazione tra il lettore e la redazione, che però, sempre, si trasforma in un “commentare i commenti” e quindi in un dialogo tra lettori.
Interessante è anche notare che ci sono dei sistemi di aggregatori di pubblicità legati al contenuto dell’articolo. Ad esempio, ad un articolo dove si parla di macchine troviamo facilmente abbinata una pubblicità di una qualche marca automobilistica.
Facilmente si trovano sul web articoli non firmati. Questi sono “copia-incolla” di articoli d’agenzia. Lo scrittore di agenzia non ha interesse a scrivere per il web. E ecco sorgere spontanea la domanda: che valore ha la parola?
Sembra che la parola sia semplicemente una chiave di accesso a una tecnologia. Per assurdo diventa secondaria, perché è molto più importante saper fare il resto (che può essere scrivere un articolo in poco tempo, avere una buona capacità di sintesi, saper colpire l’attenzione del lettore con facilità …) ed ecco che, quando l’importanza è data soprattutto alla fretta, risulta impossibile parlare di “giornalismo tradizionale”.
Cambierà mai questa situazione?
Murdoch propone di far pagare i giornali online.
L’informazione a pagamento sul web non potrà certo essere uguale a quella gratuita e quindi, in questo caso, tutto ciò che ho detto fino a adesso inevitabilmente cadrà.
Ma soprattutto la parola dovrà finalmente avere importanza. Ci dovrà essere un grosso lavoro redazionale e finalmente ci sarà un importante bisogno di professionalità.

mercoledì 6 maggio 2009

Un giornalista prima di tutto deve essere un uomo.


Mi piace iniziare questo mio nuovo percorso multimediale così, con le parole di chi, in un momento di sconforto, quando ancora ero all'inizio (e nonostate il tempo passato la sono ancora adesso), mi ha aiutato a capire che "scrivere" è quello che voglio dalla vita, che fare in maniera onesta il lavoro del giornalista sarà ciò che più mi realizzerà. 
Con le sue parole Tiziano Terzani mi ha fatto rimboccare le maniche, mi ha fatto capire che la strada da percorrere era ancora molto lunga, che le cose da vedere non sarebbero mai finite, ma mi ha fatto anche comprendere che diventare giornalista era quello che volevo. 
E lo voglio ancora adesso.



Il video è reperibile al sito: http://www.youtube.com/watch?v=AP_Xz6d-QIU